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C’ERA UNA VOLTA LA MODA

Anzi, c’era una volta l’eleganza, ché la moda-intesa come tendenza dominante e più seguita-per definizione ci sarà sempre. L’eleganza invece no; sembra infatti ormai confinata ad ambiti molto ristretti, come i contesti formali, le cerimonie, le cene borghesi e nobiliari.
Primo aspetto: l’eleganza generale è tale solo se è di tutti i giorni e diffusa,altrimenti è prestigio, lusso od ostentazione, che sono cose diverse.
  Gli italiani erano noti ed apprezzati nel mondo anche per questo, per essere accurati nel vestire persino nelle faccende quotidiane: Milano ‘capitale ben vestita’, si diceva; ‘Italian shoes’, più che un vanto nazionale, era sinonimo di calzatura elegante (oltre che ben fatta).
  Sembra si stia invece tornando all’abito buono per le grandi (o piccole) occasioni, versione moderna del ‘vestito della domenica’ di anni in cui di vestiti se ne poteva acquistare a fatica a malapena uno. Quei tempi erano stati superati abbondantemente nei decenni passati quando, grazie anche al forte calo dei prezzi, l’eleganza divenne per tutti e per tutti i giorni.
Ora è un gran fiorire di street style, di gym style e simili, fatti di tute e scarp de tenis, di felpe e magliette; con l’ulteriore paradosso che si tratta spesso di articoli molto costosi, anche/soprattutto perché prodotti dai grandi marchi locali e internazionali, i quali sanno bene attivare e sfruttare le leve del marketing per far lievitare i prezzi. Il tutto corroborato dal pretesto (o comunque dall’insufficiente motivazione) che si tratta di capi ‘comodi’.
Ma cosa c’è di più comodo e versatile di una giacca, ad esempio? E comunque, la forma non ha forse pari dignità della sostanza? I capi ‘comodi’ si son sempre chiamati ‘sportivi’ appunto perché da portare per fare sport, non per passeggiare in città o uscire la sera; e tantomeno per attività ancor più serie.
  A questa americanizzazione del vestiario (ma poi gli americani erano i primi ad essere estasiati quando in Italia vedevano uomini e donne eleganti persino nei supermercati) sarebbe da tornare a sostituire la dicotomia in casa/fuori casa, ben più gradevole di quella ordinario/occasionale.
Secondo aspetto: proporre capi praticamente unisex nella convinzione che ormai ci sia un miscuglio totale di genere-o addirittura un genere unico-è innaturale (oltre che forse poco redditizio, da sempre la diversificazione del prodotto aumenta i profitti); siccome però è pur vero che ogni genere ha in sé qualcosina dell’altro, qualche contaminazione, soprattutto nelle fogge e nei particolari, è più che benvenuta ed anzi direi quasi necessaria (l’ostentazione di genere è forse altrettanto impropria); ma uomini avvolti in cappotti pelosi e donne dentro tuniche nascondi-forme, sono quanto meno di discutibile gusto.
E le grandi griffes impegnate sulle passerelle in giro per il mondo? Ben poche mantengono,conservano,rinnovano quell’eleganza sobria che,peraltro,le ha rese famose; molte invece seguono/dettano questa duplice tendenza e/o propongono vestiti più simili a costumi teatrali che a capi di abbigliamento.
  Il vestiario può (anzi,deve) essere nel tempo rivisitato, aggiornato nelle forme, nei colori, nei dettagli; ma non si può sostituire un completo con un abito da scena oppure una giacca con una felpa, una camicia con una canotta, un pantalone con un cencio stracciato e dire che sono egualmente/diversamente eleganti.

Il Conte, marzo 2018 –  © Mozzafiato

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