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Whiplash: due pensieri. Anzi, tre

Uno suona la batteria. Suda. Vuole ottenere qualcosa. Un altro lo osserva, lo provoca a distanza. Anche lui vuole ottenere qualcosa. Subito i due diventano uno lo strumento dell’altro; si alternano nel ruolo di causa ed effetto. Il film è tutto qui. E senza accorgercene, anche noi abbiamo già raccolto la sfida.

Non si ha il tempo di ragionare su oziose morali. In un attimo si diventa la fatica, le mani insanguinate, le notti insonni. Iniquità,  ceffoni, emarginazione: tutto si accetta senza giudizi. Sul giusto o sbagliato si interrogherà qualcun altro, se vuole, quando ormai i giochi saranno fatti.

D’altra parte, percorrere un corridoio all’inizio di una pellicola è come essere proiettati da una bocca di fuoco verso un bersaglio. Niente preamboli. Niente distrazioni. Anche da parte nostra si esige completa dedizione al solo punto d’arrivo. Il resto si può accantonare, può rimanere appannato. Un po’ come in un cambio di scena, quando la nuova inquadratura emerge dal fuori fuoco.Whi10

Fin qui, la grammatica essenziale di Chazelle.

Poi c’è un padre che, impensierito, prova a mettere in guardia il figlio. A volte lo fa col Cinema. Perché sappiamo che, quando il viaggio verso la cima è tormentato, ci sono sempre due possibili soluzioni limite. Si potrebbe mollare tutto, rischiando di vivere col rimpianto, sentimento che ben conoscono i protagonisti di Muriel (e si omaggia Resnais, scomparso nel 2014). Al capo opposto, la conquista di quella cima può comportare l’annientamento, come accade (tra l’altro) al Tony di Rififi.

Dove approderanno esattamente Andrew Neiman e Terence Fletcher, se da qualche parte nel mezzo o ad uno degli estremi, poco ci importa. Dal nostro punto di vista, hanno ormai assolto egregiamente il loro compito.

Vincenzo Laudando, marzo 2015 – Mozzafiato Copyright

 

Ufficio Stampa