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Un bel ‘Bignami’ firmato Woody Allen

Woody Allen continua con quella che chiamo “la poetica del bigino”, ovvero nel riproporre una versione edulcorata di alcuni capolavori del suo passato.

Come “Match point” era il bigino di “Crimini e misfatti” e “Midnight in Paris” lo era de “La rosa purpurea del Cairo, questa volta è “Manhattan” a dare l’imprinting al suo ultimo film, dove è la città ad essere la vera protagonista di una vicenda ben strutturata dal punto di vista drammaturgico, ma priva della forza  evocatrice ed ispiratrice  del film del 1979.

Ci sono un paio di aspetti che tengono lo spettatore non in piena sintonia con quanto avviene sullo schermo: un ambientazione smaccatamente “upper-upper class” ( gli interni devono essere di almeno 50 metri quadri per locale con quadri d’autore alle pareti e se serve un’auto deve essere come minimo una BMW Z4 ) che rende i protagonisti non proprio simpatici ed un doppiaggio troppo sopra le righe, come purtroppo succede spesso negli ultimi film di Allen.

Intendiamoci, la messa in scena è impeccabile come sempre ed i caratteristi lavorano fin meglio dei protagonisti, ma quello che manca è il feeling con lo spettatore che ‘guarda’ la vicenda senza mai riuscire ad appassionarsi davvero.

Aver visto in un recente passaggio televisivo “Basta che funzioni”, autentica perla di una decina di anni fa,  ci fa capire che il miglior Woody è un’altra cosa, soprattutto quando il suo sguardo è più vicino  a quello dello spettatore come  ha dimostrato  con “Blue Jasmine” e “La ruota delle meraviglie”.

P.s.: stiamo parlando dell’ultimo film  Un giorno di pioggia a New York.

Marco Ettore Massara, gennaio 2020 – © Mozzafiato

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