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STATISTICA E LIBERTÀ

Cos’hanno a che fare questi due mondi, apparentemente così antitetici?
Il rigore matematico,regno dell’oggettività,con l’arbitrio,dominio della soggettività?
Molto. Anzi,quasi nulla: la correlazione-usando categorie statistiche,appunto-non è solo diretta, ma può essere anche inversa; e altrettanto forte.
L’uomo, anche quello dello stato di natura, si proclama essere libero, e se ne vanta tanto. Ritiene di poter scegliere in ogni momento, in ogni situazione il comportamento che preferisce; di poter sempre decidere se,quando,come,cosa fare o non fare. Fa addirittura di tale presunta facoltà il fattore distintivo fra sé e gli altri animali, l’elemento qualificante della sua pretesa superiorità. E per di più è convinto di basare tale possibilità di discernimento e selezione sulla razionalità; salvo-ogni tanto-(dover) ammettere che la stessa è limitata.
Il decidere in base alla ragione è sicuramente meritorio, ma già di per sé  confligge irrimediabilmente con la libertà;ne è anzi l’inevitabile negazione. È come dire che allo stimolo A deve corrispondere sempre la risposta B perché questa è la migliore, la più opportuna. Altro che libera scelta, questa è una scelta obbligata!
Se poi aggiungiamo che questa risposta nei nostri mondi artificiali e normati è imposta da leggi, o anche solo da usi e costumi, altro che libertà, è una reazione automatica, nel senso di prodotta da un automa obbediente. Una (auto)vessazione; spesso pure inconsapevole.
E la statistica? Serve a confermare tale condanna alla schiavitù decisionale (ma anche a dare un barlume di speranza). Serve a dire con quanta probabilità un  uomo a caso ‘sceglierà’ proprio quella risposta B pur avendone infinite altre a disposizione. E quella probabilità è molto,molto elevata (ceteris paribus). Ma per fortuna non è mai il 100%; v’è sempre un margine di errore. Ecco, quell’errore è l’unica vera libertà che ci resta.
Dunque la libertà è-tristemente-la facoltà di sbagliare, nel senso di scegliere qualcosa che la maggior parte degli altri non sceglierebbe; o-felicemente-la facoltà di scegliere correttamente, mentre la maggior parte degli altri sbaglia.
Comunque la si metta, la libertà risulta fatalmente essere una cosa per pochi; ahimè molto pochi.
Appare dunque non così strampalata la tesi di chi vorrebbe l’uomo essere una cavia da esperimento, o al più un esemplare da allevamento, messo qui su questo sassolino azzurro e verde in un angolino di Universo chissà da chi o chissà da cosa a condividere con quegli animali addomesticati buona parte dei comportamenti ‘razionali’. Quasi un contrappasso: egli replica verso un’entità superiore quegli atteggiamenti e quell’esistenza che ha imposto a molti viventi ‘inferiori’; per giunta essendone,come questi,pressoché inconsapevole.
Come i polli e i piccioni corrono tutti,per di più azzuffandosi reciprocamente,a raccogliere le misere granaglie che un alieno padrone/mantenitore getta loro, così gli uomini si affannano e competono ferocemente per quelle piccole cose che è dato loro mettere insieme. Gli uni e gli altri pensano di massimizzare l’utilità e il profitto.
Il dramma è che non possono farne a meno; e pure che forse è la scelta migliore.
Quando vediamo un uomo vivere fuori dal branco o ragionare fuori dal coro, pensiamo che forse anziché un asociale o un anticonformista è uno che vuole essere un po’ meno schiavo. È l’anomalia statistica, è la libertà “in nuce”; apprezziamola e difendiamola.

Il Conte, maggio 2017 – © Mozzafiato

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