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Dal volto alla maschera

Siamo abituati a considerare la storia dell’arte come storia delle immagini, che siano esse immagini dipinte, scolpite, stampate, fotografate, immagini visuali, performance.

Ma cos’è davvero un’ immagine?

L’opera d’arte, aldilà del medium figurativo, è un oggetto di natura tangibile, che può essere datato, attribuito, classificato. L’oggetto artistico ospita l’immagine che non è detto che coincida esattamente con esso. Provo a spiegarmi.

Va fatta una distinzione fra image e picture.

Picture è l’immagine intesa come mezzo attraverso il quale essa rappresenta se stessa:  la pittura, la scultura, la stampa,  la fotografia, i video).

Image è  il prodotto del medium rappresentativo ed eco del nostro io. In essa generiamo le nostre immagini personali, che interagiscono con quelle facenti parte del mondo visibile circostante.

Questa necessaria e sottile distinzione fra immagine e mezzo suggerisce il riconoscimento di una coscienza corporea.Tutto ha inizio dal corpo. Il corpo genera immagini. Esse divengono segni iconici mediante i quali si trasferiscono quelle informazioni che non si potrebbero trasmettere in altro modo. Le immagini, una volta generate, abitano il mondo e rintracciano il proprio habitat naturale all’interno di un determinato contesto socio-culturale, perché fatto di uomini e di corpi.Sarà tale consapevolezza corporea a definire l’uomo come luogo delle immagini. Egli se ne riappropria, mediante l’archivio della memoria, e si pone come punto di partenza, sua origine e suo fine.

Questa prospettiva iconologica non è frutto di una mia invenzione ma abbraccia e condivide la teoria di Hans Belting. Lo storico dell’arte tedesco risponde alla domanda: “Che cos’è un ‘immagine?”, introducendo un approccio nuovo alla storia dell’arte: una visione antropologica.

L’immagine sul corpo. La maschera.

L’immagine, nella sua caratterizzazione mentale, e il mezzo, in quella materiale, rimandano al corpo. Il corpo però non si limita ad essere il luogo in cui risiedono le immagini, ne è anche il loro trasmittente figurativo.

Il ‘corpo dipinto’ è sicuramente la forma più primitiva di corpo come mezzo trasmittente. Le antiche popolazioni usavano identificarsi attraverso l’arte della pittura e del mascheramento. Non si tratta però dell’atto di indossare una maschera, è la stessa pittura facciale a fungere da maschera; costituisce la prima sua forma figurativa.

E’ immagine, un’ immagine sul corpo che rende il corpo una maschera vivente.

Questa trasformazione non ha i connotati di alcuna falsificazione. Qui non si vuole intendere maschera nel senso del nascondimento, del mascheramento, dell’inganno.

Tutt’altro. Riflettiamoci un attimo.

Sia la maschera che il volto sono i canali attraverso i quali rappresentiamo noi stessi. La maschera coprendo il volto si sostituisce ad esso ma non è mera riproduzione del volto reale bensì del suo volto simbolico. Cos’è d’altro canto il volto se non un atto iconico simbolico della propria personalità? Il volto come immagine sul corpo è immagine del corpo, il mezzo mediante il quale parliamo, comunichiamo, ci riflettiamo allo specchio, creiamo relazioni.

Amplificatore di abitudini e rituali, il volto si fa portavoce delle espressioni proprie di un’ epoca storica. Maschere e volti non sono antitetici ed oggi più che mai il binomio ricorre.

Ho trovato notevolmente suggestiva l’operazione, definirei quasi chirurgica, che l’ artista austriaco Markus Schinwald (1973) ha eseguito un decennio fa su alcuni dipinti di epoca vittoriana. Le opere di Schinwald, stimate all’asta più di 35.000 euro, possiamo definirle alterazioni di ritratti di volti austeri, stampe e dipinti ottocenteschi. Protesi bizzarre e grottesche lasciano spazio a cinghie e nodi che comprimono il viso mentre bende e mascherine lo coprono.

In un lavoro chirurgico di ricostruzione di volti e pose, Schinwald mescola elementi contemporanei ed opere del passato in un atteggiamento che intende sfidare il rapporto fra il corpo e lo spazio che lo circonda. L’artista lavora con i volti ed usa le maschere, per renderli il tramite di un pattern di tematiche: l’amore e la memoria, il tempo e il silenzio, l’ossessione e la compulsione, la metamorfosi e la rottura. Questi sentimenti sono gli stessi tratti iconici della nostra epoca, colpita da un’epidemia che ci costringe ad indossare una mascherina.

Le mascherine rappresentano protezione, sicurezza sanitaria e assumono carattere identitario di sacrificio e resistenza.  I volti con mascherine di Schinwald del resto non sono poi così diversi dalle foto che stanno circolando sul web in questi giorni.

Sono dipinti che “non sono del tutto compatibili con il clima della nostra epoca” vengono alterati, afferma lo stesso artista nel 2010, “in modo tale da poter sopravvivere nelle condizioni attuali”.

Riflessione senz’altro contemporanea, molto più di quanto Schinwald potesse aspettarsi. Parole profetiche le sue. Il nostro amico viennese conferisce alla maschera una dignità sociale e un riconoscimento di tale importanza che richiede anche a noi di comprenderne la necessità.

Donatella Valentino, ottobre 2020 – © Mozzafiato

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