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Il font degli stereotipi

Un’immagine vale più di mille parole. Mai questo concetto è stato più calzante che nell’era social network. Ma che cosa c’è realmente dietro uno scatto, un corpo perfetto, ed un aforismo scritto con il medesimo font?

Era una di quelle solite mattine. Come di consueto, distrattamente mi appresto a spegnere la sveglia del mio telefono dando un veloce sguardo ad uno dei Social Network più in voga del momento: Instagram.
Fra le tante immagini che inizio svogliatamente a sfogliare, la mia attenzione ricade d’improvviso in una foto in particolare, molto similare a quelle che io stessa sono solita postare: la raffigurazione di una bella donna, corredata da tanto di aforismo poetico. Il testo, sembrerebbe perfino avere la parvenza d’essere scritto con il medesimo font da me più volte utilizzato, per descrivere mie riflessioni personali sulla vita, con la sostanziale differenza, d’essere io stessa, l’autrice del contenuto.
Pochi istanti dopo, lo scenario si ripete: altre foto simili alla precedenti si ripropongono, stesso font ed aforismi in totale contrasto logico con la raffigurazione.
A quel punto, la riflessione sopraggiunge spontanea lasciandomi in preda ad innumerevoli quesiti.
Verso quale realtà comunicativa stiamo andando? Qual è il messaggio intrinseco che si cela dietro ad una foto corredata da un aforismo? Ci si sente forse in dovere di dimostrare che è possibile rompere “lo stereotipo” della bella donna priva di intelletto tentando di ovviare al pregiudizio?
O ancora, fanatismo culturale dettato da una forma di megalomania?
Una citazione di cui non si è nemmeno autori, attribuisce realmente il titolo culturale agli occhi di chi osserva con ludica superficialità?

Nel 1992 Lippmann introduce per la prima volta il concetto di “stereotipo” nelle scienze sociali, definendolo come un processo di conoscenza indiretto, mediato da immagini mentali costruite in relazione a come ognuno di noi recepisce e percepisce la realtà. Si comprende da subito, pertanto, quanto sia sottile il confine che divide il giudizio dal pregiudizio.
Quanto realmente si riesce a carpire della vera essenza della persona che si sta osservando, senza cadere nella tentazione di osservare con superficialità?
Risulta inevitabile affermare che ci troviamo dinnanzi ad una forma di radicale cambiamento di espressione comunicativa, della rappresentazione del proprio essere, un vero e proprio vortice in cui tutti siamo più o meno inconsciamente coinvolti, una sorta di “epidemia” di narcisismo globale.
Ossessionati dall’ostentare il nostro essere, il nostro aspetto, indossiamo una maschera che spesso inganna la nostra reale identità, rendendoci sempre più fragili, insicuri, omologati e svuotati da ogni contenuto, emozione e sentimento.
Diviene perciò quanto mai essenziale ricordare che queste nuove forme comunicative, in fondo, non devono avere nessun altro fine se non quello di raccontare senza filtri né finzione ciò che realmente siamo, racchiudendo le nostre passioni ed attimi di autentica quotidianità, senza mai dimenticare che non sarà quel font, quella foto o, ancora, quell’aforismo a determinare chi siamo, poiché dietro il sipario di quello che può essere definito un grande teatro, potreste ritrovarvi sorpresi nello scoprire un’anima estremamente stimolante, emozionale, colma di contenuti da raccontare.
Impariamo ad aprire la mente ponendo attenzione al contenuto, piuttosto che alla forma, oltrepassiamo limiti e confini imposti da mode e tendenze; solo così saremo realmente liberi da influenze esterne e finalmente capaci di cogliere le differenze, in una realtà apparentemente tutta uguale.

“E’ più facile spezzare un atomo, che un pregiudizio.” (Albert Einstein)

Debora(h) Cimino, giugno 2020 – © Mozzafiato

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