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Razzista?

Stavolta penso di poter parlare con cognizione di causa perché questa lotta la mia famiglia la fa da oltre 20 anni.

Negro… Di colore… Nero… Famose a capi’ (come se dice a Roma) se hai difficoltà a fare battute razziali, a parlare male di persone di un’altra razza o considerarli stronzi se lo sono veramente a prescindere dal colore, solo perché se no ti tacciano di razzismo: sei “razzista perbenista”.

Sì, è così che li chiamo io i finti non-razzisti.
Sono persone che si ammantano di un’etichetta che non sentono e che ad ogni gesto o parola si contraddicono.

Quando non sei realmente razzista non ti accorgi neanche del colore della pelle e se devi mandare a quel paese qualcuno, che sia bianco nero verde giallo rosso o blu, lo mandi in direttissima.

C’è un film che ho sempre adorato dal titolo “Biko”.

Per chi non lo sapesse Biko è stato un eroe dell’Apartheid in Sudafrica.

Nel film c’è una scena in cui dice “Non capisco perché vi ostinate a chiamarci neri visto che siamo marroni e perché vi ostinate a chiamarvi bianchi visto che siete piuttosto rosa”. (Parafrasata ma il senso era questo).

Il problema è nella coscienza del posto in cui vivi, il problema è nella cultura in cui sei cresciuto: il problema non è nella pelle, ma negli occhi che la osservano.

Ci mettiamo i fondotinta per sembrare più scuri, facciamo le lampade per abbronzarci, mettiamo il rimmel per avere le ciglia lunghe come le loro, mettiamo la matita per avere gli occhi profondi come i loro, facciamo squat e allenamenti per avere il culo come il loro.

Diciamo che più che razzismo la chiamerei invidia.

Nel momento in cui vedi il colore sei razzista. Nel momento in cui una tua reazione dipende dal colore della pelle sei razzista. Nel momento in cui una diversità non la vedi come la splendida espressione della molteplicità umana.

Sei razzista.

Anche se ti lavi la coscienza con frasi fatte.

Ethel Cogliani, giugno 2020 – © Mozzafiato

Foto di copertina: dal film “Django Unchained

 

Ufficio Stampa