Chi critica Woody dicendo che fa sempre lo stesso film (che non è vero) sarà contento.
Woody continua a parlare dei temi ‘forti’ dell’esistenza, ma non lo fa più con il suo tipico registro dell’ironia.
Il passaggio non è brusco: all’inizio ci mostra un ragazzino dai capelli rossi che ricorda il suo alter-ego in “Radio days” che è appassionato di cinema e falò e fa rimbalzare il suo amore per le commedie radiofoniche trasferendola alla protagonista, un’ eccellente Kate Winslet.
Però questi elementi scompaiono rapidamente e gli elementi più propriamente drammatici prendono il sopravvento disegnando una serie di relazioni sempre più conflittuali tra i personaggi.
Ho riconosciuto solo due battute “alla Woody”, peraltro non raccolte dal grosso degli spettatori.
La scelta autoriale è quella di collocare questo autentico dramma all’interno del luogo votato all’evasione ed al divertimento: la “Wonder wheel” di Coney Island diventa davvero il simbolo della felicità effimera pronta a scomparire in un attimo e della circolarità dell’esistenza: salita della tensione amorosa, culmine e discesa nella banalità del fardello della prassi quotidiana.
Di Woody rimangono le azzeccatissime ‘facce da film’ di ogni comparsa e la coreografia filologicamente impeccabile, ma se le due attrici protagoniste fossero state Barbara Stanwyck e Marylin Monroe e alla regia ci fosse stato Douglas Sirk il film avrebbe funzionato lo stesso alla perfezione.
Grazie della sorpresa, Woody !