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CHARLIE GARD: QUANDO LA VITA T’IMPEDISCE DI VIVERE

Il 4 agosto 2017, Charlie Gard, il piccolo neonato inglese affetto da una grave patologia incurabile che ha tanto fatto parlare di sé, avrebbe spento la sua prima candelina. Giusto una settimana prima del suo compleanno, il 28 luglio 2017 su disposizione del giudice, il piccolo è stato trasferito in un hospice, un centro assistito per malati terminali, nel quale ha esalato il suo ultimo respiro artificiale.

Charlie era nato apparentemente sano, un piccolo bebè pronto a crescere come qualunque altro neonato, ma Charlie non era un bambino qualsiasi, era diverso. Qualche settimana dopo la sua nascita, aveva cominciato a manifestare i sintomi di una rarissima malattia degenerativa in cui si riconoscono solo 16 casi al mondo: la “sindrome da deplezione del DNA mitocondriale”. Una malattia genetica che porta alla riduzione della quantità di DNA contenuta nei mitocondri i quali forniscono l’energia necessaria per il funzionamento della cellula, alla luce di questo è chiaro che gli organi che consumano più energia come: muscoli, cervello e fegato, siano quelli maggiormente compromessi, riducendo così le aspettative di vita del portatore pari a zero.

Al giorno d’oggi, data la complessità della patologia, non esiste ancora una cura. Da quando, al piccolo Charlie, viene diagnosticata tale sintomatologia, dall’ospedale pediatrico londinese Great Ormond Street Hospital -una delle migliori strutture europee specializzata nella cura e nella ricerca su patologie infantili- il piccolo non uscirà più, e l’ospedale decide di porre fine alla sua sofferenza, staccando la spina che lo mantiene in vita. Da quel momento comincia una dolorosa e chiassosa lotta per difendere “quello che è meglio per Charlie”. Una guerra legale non solo tra i genitori Chris Gard e Connie Yates, che si rifiutavano di perdere il proprio figlio, e l’ospedale, ma anche un polverone che ha coinvolto i Media, il Vaticano,  l’opinione pubblica: divisa in due filosofie di pensiero: il diritto alla vita, ma anche il diritto alla morte.

Dal 3 marzo 2017 il tribunale inizia ad esaminare la vicenda, l’Alta Corte stabilisce che i medici possono staccare la spina, i genitori fanno ricorso, arrivando anche a presentare una richiesta alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, chiedendo più tempo e la possibilità di portarlo negli Stati Uniti, dove avrebbero provato una cura sperimentale chiamata Nucleoside Treatment, mai attuata sull’essere umano. Interviene Papa Francesco, il Bambino Gesù di Roma offre di accoglierlo, il mondo intero cerca una soluzione per aiutare ed appoggiare gli sforzi dei genitori per mantenere in vita il piccolo, ma  vengono definiti dalla Corte Suprema come un “accanimento terapeutico futile”.

Cosa sarebbe stato meglio per Charlie: tenerlo in vita provando cure sperimentali dolorose ed estenuanti per quel piccolo corpicino avrebbe realmente apportato qualche miglioramento nel suo precario quadro clinico? O sarebbe servito solo per donare “speranza” ai genitori, i quali giustamente ed umanamente non potevano arrendersi davanti alla prospettiva di perdere il proprio figlio?

È vero che “Dio non stacca mai la spina” come ha detto il Vaticano, e che finché c’è vita c’è speranza, ma era realmente vita, quella che stava “vivendo”? L’amore di un genitore arriva al suo apice quando si rende conto che, forse, arrendersi è l’unico modo per salvare il proprio piccolo, per difenderlo da un futuro che ormai era segnato.

È confortante poter credere di sperare che, ora, Charlie possa essere in un posto migliore, nel quale possa continuare a crescere senza che il suo corpo sia più un limite per se stesso.

 

Marianne Perez Lopez, luglio 2017 – © Mozzafiato

Ufficio Stampa