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Beata (in)utilità

  NULLA È PIÙ UTILE DEL FUTILE

Senza ciò che apparentemente non ha valore, nulla avrebbe valore.
Si ricordi che quello che ci differenzia, anche evolutivamente, dagli altri viventi è la ricerca di ciò che non è strettamente necessario alla sopravvivenza biologica: dall’arte allo sport, dalla poesia al tempo libero.

Fosse anche solo per mero utilitarismo, il mondo delle attività ‘superflue’ è funzionale a quello delle attività ‘primarie’.
Il lavoro è tanto più efficiente quanto più c’è il ricordo e l’attesa del sano divertimento e della spensierata vacanza. Le attività ludico ricreative, altro che tempo perso, sono tempo guadagnato, in benessere e in desiderio/premessa di nuovo impegno.

Ma, ovviamente, il plusvalore del ‘futile’ è eminentemente socioculturale.
Il ritrovarsi e lo svagarsi sono beni essenziali come il denaro e il cibo.
Dannata quella società in cui “all’infuori del lavoro tutto è vietato, camminare per strada, distrarsi, cantare, ballare, riunirsi… [George Orwell]

Non a caso i regimi autoritari, del passato e del presente, sono sempre nemici dell’ammiccante divertimento, quindi delle feste e delle festività, della sera e della notte, con i loro riti, momenti nei quali l’attività extra lavorativa da sempre dà il meglio di sé; nonché avversi ai giovani, anche solo di spirito, che ne sono i principali protagonisti ed interpreti.
Spesso per di più ammantando questo atteggiamento con un velo neppure troppo leggero né occulto di moralismo di Stato, di neppure troppo nascosto intento paraeducativo implicito e distorto. E/o vedendo nella (ricerca della) felicità di alcune parti del popolo una sorta di (chissà quale) minaccia all’ordine costituito, all’austero rigore e alla grigia seriosità di cui si sostanziano e si beano tali regimi.
A ciò si aggiunga una sorta di gretta ed abietta invidia implicita in una certa dominante senilità, spesso solo mentale, per un mondo di cui non si può, o più spesso non si vuole, far parte e che dunque si vorrebbe negare pure agli altri

Ma di chi è la responsabilità di questa atroce privazione di libertà e di felicità? Di più, di questo diniego di civiltà? Degli autocrati, certo; ma forse ancor più di chi è ben disposto a rinunciarvi, in nome di una qualunque utilità che si presume superiore, mentre, ammesso che vi sia, ne è senza dubbio subordinata o, ad esser generosi, paritaria.

Evviva la speciosa inutilità, dunque; forse anche di queste poche semplici righe.

Il Conte, dicembre 2020 – © Mozzafiato

Ufficio Stampa