“Che te ne fai di un amore così?”
“Amor che nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona”. Confessa Francesca da Rimini nell’inferno di Dante e perché sia lì, tra le colombe e gli stornelli lussuriosi, è ben noto a tutti. Nella cronaca odierna i giornali parlerebbero di “delitto d’onore”, scriverebbero della più famosa relazione illegittima come di un’altra “tragedia della gelosia”, l’ennesimo caso di omicidio e femminicidio. Ma alle menti meno superficiali non sfuggirà l’importante dettaglio di come Paolo e Francesca scoprirono di amarsi. Galeotto fu un altro libro, più antico, narrante un amore tanto simile al loro. È la storia di Lancillotto e Ginevra il cui epilogo, mai letto dai due innamorati, accomuna le protagoniste tragicamente: un marito tradito che uccide una moglie incauta. Così, nel racconto di Dante la tragedia di Paolo e Francesca non è un fatto eccezionale, irripetibile, strano; è il riflesso di storie più antiche, sciagurate e identiche per secoli; è il risultato di una cultura maledetta. La violenza sulla donna è il frutto velenoso di una malapianta; un atto criminale che consegue un modo di ragionare terribile ma preciso, giunto a noi dilagante e adesso ancora capillare.
Nel suo “Comizi d’amore” Pier Paolo Pasolini girovagava per l’Italia a chiedere alle persone comuni come concepissero l’amore, le questioni, attuali o meno, che lo riguardano. Quando domandò ad un uomo cosa pensasse del divorzio, costui impugnò un coltello immaginario e con gesti eloquenti lasciò intendere la sua opinione. Era il 1964, non poi così lontano nel tempo, e a rendere davvero agghiacciante la scena fu la folla che circondava l’intervistato, uomini e donne che a quelle parole risero, applaudirono. Un uomo può uccidere la femmina che lo umilia, anzi deve; d’altronde “lo stato d’ira determinato dall’offesa dell’onor proprio” ha giustificato gli assassini delle donne fino all’81, quando fu abolito quel balordo articolo 587. Ma la società è più lenta della legge e a preoccupare oggi non sono soltanto gli strascichi di logiche mostruose come quella di possesso e proprietà, di paura e obbedienza, di riscatto col sangue, ma un’eredità ancor più disturbante che aggrava i narcisismi delle generazioni attuali.
Ma allora, cosa pensiamo dell’amore? S’interrogassero tutti e in particolar modo gli uomini. Un amante non è un manipolatore perverso che monitorizza ossessivamente l’origine della propria fragile autostima attraverso il nevrotico alternarsi di idealizzazione e svalutazione, o, nel caso sfugga inaccettabilmente al controllo, l’eliminazione; che la compagna fiorisca, e fioriscano i suoi pensieri e la sua anima. Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? Ci chiacchierano su, intorno al tavolo di una cucina, bevendo gin, i personaggi del noto racconto dell’americano Carver: Terri ha detto che l’uomo con cui viveva prima di mettersi con Mel l’amava talmente tanto che aveva tentato di ucciderla; una sera la riempì di botte, la trascinò per tutto il soggiorno per le caviglie continuando a ripetere “ti amo, ti amo…”; la testa le sbatteva dappertutto. Ora Terri ti guarda stancamente negli occhi ma finalmente ti dice: “che te ne fai di un amore così?”.
Gabriele Cardinale, novembre 2024 – @Mozzafiato
P.s. Ho voluto inserire queste due clip del film “Dante” del grande Pupi Avati, perché solo con l’abitudine a cogliere codesta bellezza di relazione amorosa “nel nostro cuore potremo di nuovo ascoltare fremiti della purezza”