Home / LIFESTYLE / Conosciamoli da vicino / Federico Buffa: “Un bastardo privilegiato”

Federico Buffa: “Un bastardo privilegiato”

Federico mi viene incontro con passo deciso e la mano tesa, si leva gli occhiali da sole, prima di stringermi la mano con decisione ed energeticamente, guardandomi in viso.

Sarà l’età, sarà una sensibilità diversa, saranno i miei viaggi, le tante persone che ho incontrato e che ho conosciuto, ma ormai questi dettagli, questi messaggi non verbali, sono diventati la chiave interpretativa con cui osservo le persone.

Una questione chimica, alchemica, fatta quasi di feromoni, che mi giungono come segnali ben precisi, per comprendere chi ho di fronte.

Ora ci siamo seduti, le solite presentazioni di rito, gli offro l’ omaggio del mio penultimo romanzo (l’ultimo è esaurito, attendo la ristampa) e  possiamo iniziare.

Ciak, si gira! Ops, si scrive.

L’incipit di molte interviste che ti hanno fatto, è quasi sempre lo stesso, ti chiedono la spiegazione di “Bastardo privilegiato”. Privilegiato l’ho capito subito, dato che provieni dalla media borghesia milanese, ma questo bastardo, suona troppo forte, spropositato. Puoi spiegarcelo meglio?

Io non ho mai avuto un contratto di lavoro dipendente subordinato, sono stato un avvocato, oggi un libero professionista. Attualmente faccio contratti di solo dodici mesi.

In altre parole, io sono un gatto nel cortile che vuole vedere da dove poter uscire, visto che ci è entrato. 

Lo sceneggiatore della mia vita mi ha concesso sempre un’opportunità differente, quando sono stato ad un bivio. Quindi, lui ha scritto per me sempre una pagina diversa in maniera fluida.

Il tuo lavoro è fatto di dettagli storici, culturali ed emozionali. Quanto è difficile recuperare le informazioni dalle fonti e soprattutto entrare in relazione con le persone che hanno conosciuto il protagonista del tuo racconto?

Prima di tutto questa è la chiave: ascoltando queste persone ottengo un angolo visuale completamente diverso. Diverso da quello che si legge su internet. Ti faccio un esempio: durante l’intervista alla moglie e al fratello di Gaetano Scirea sono emersi dei particolari talmente intimi, che ho dovuto fermarli, perché lì finiva la mia parte giornalistica, deontologicamente corretta ed iniziava un’altra dimensione. Poi entrambi, sia  il fratello Paolo che la moglie mi hanno autorizzato a scrivere  anche questa parte.

Nel tuo raccontare emerge un’analisi psicologica dettagliata, che molte volte determina delle emozioni profonde. Questo è forse legato al tuo padre,  medico psicoterapeuta e con problemi di salute (era un cardiopatico). Levare la polvere dalla superficie e scavare più a fondo, come un Dna  che si trasmette da padre in figlio, un’ inconsapevole imitazione del tuo papà (talis pater talis filius)?

Si, in effetti, fino a quando è stato in vita, non ho avuto un rapporto facile con mio padre. Estremamente nevrotico, estremamente intelligente, ma anche estremamente esigente. Severo, quasi punitivo. Mio padre non mi rispondeva: “Perché no!”, come gli altri padri. Ma nel 2007 , lui muore e io ricordo che trascorsi 45 minuti con lui a parlare nella camera mortuaria e a quel punto mi sentii autorizzato ad andare per conto mio.

Lo sogno continuamente da morto.

Finalmente, ho preso la parte bella di mio padre, anziché soffrire per quella “ difficile”.

Mi dispiace che non abbia visto quello che ho fatto dal 2007 in poi.

Nei tuoi racconti i leggendari protagonisti non ci sono più, scomparsi in varie circostanze. Qual è il tuo rapporto con la Morte? Credi in Dio, o come la definisco io,  in una forza creatrice benevola?

Il mio rapporto con la morte è continuo. Siamo circondati da talmente tante morti che non ci facciamo più caso.  C’è un’orrenda frase di Stalin, che descrive bene questa situazione odierna: ” Una singola morte è una tragedia, un milione di morti è statistica”. La cosa che mi angoscia di più è che i morti africani non contano, non interessano a nessuno. La parte del mondo dove ha avuto origine il genere umano é un luogo dove il genere umano con potere economico non guarda. Questo va contro la natura antropologica di chi siamo.

Vado alla ricerca della spiritualità ovunque, di qualsiasi natura sia. Condivido la frase  del più grande pugile di tutti i tempi, Muhammad Ali: ” Veniamo tutti dal medesimo Creatore, ma lo sappiamo in maniera diversa”

Mia mamma, splendida principessa di 93 primavere, siciliana di Noto, mi racconta spesso episodi legati alla sua infanzia. Tra  essi  quelli dei cantastorie con i Pupi, che arrivavano in occasione delle feste di paese con i loro teatrini viaggianti, narrando le sfide medievali tra i Cavalieri e i Mori (Orlando Furioso). Tu ti senti un cantastorie moderno, che lascia il pubblico con la bocca aperta?

Io ho un quarto di sangue siculo, esattamente di Milazzo e ne sono orgoglioso. La Sicilia, come scriveva Goethe è realmente il luogo più affascinante del nostro paese, quindi questo DNA mi appartiene e si esplicita nel mio raccontare.

A proposito di mamma, la tua si è ammalata di Alzheimer, malattia che hai definito impietosa, perché fa morire prima della morte fisica, causando una perdita d’identità per assenza di memoria. Un ricordo di lei, per favore.

L’Alzheimer è una sorta di lungo addio, ingestibile, la cosa più dolorosa che possa succedere. Io divido il mondo tra chi ha avuto una madre ansiosa e chi non l’ha avuta. La mia mamma era scevra da qualsiasi ansia e paura. La spregiudicatezza che ho ereditato  nei miei atteggiamenti quotidiani deriva dal fatto che lei non mi ha trasmesso ansia o tensione. Ad esempio mia mamma non mi ha mai detto: “Non fare il bagno dopo mangiato!mettiti la maglietta!  dove sei stato?”. Eravamo simbioticamente complici.

Il  Il tuo modo di parlare lento, quasi sillabando le parole, è una forma per creare carisma e sintomatico mistero, come Franco Battiato docet? Oppure semplicemente lo utilizzi  per farti capire bene e per sottolineare i concetti; o forse perché lo spettacolo molte volte dura più di un’ora e bisogna riempire i minuti, quasi una melina calcistica o una strategia verbale e teatrale?

Questa è sicuramente un’influenza teatrale, prima non parlavo così. A teatro devi essere molto chiaro, devi battere le finali. Cambia il tuo modo di parlare e non riesci a tornare indietro. Se tu sentissi una mia telecronaca del NBA di anni fa, parlavo in maniera differente, velocemente. Anche quando  vuoi sottolineare un concetto, scandisci la parola più importante del concetto che vuoi esprimere. Dovrebbero farlo anche gli Amministratori delegati delle aziende.

Hai più volte affermato che prendere appunti (annotare – scrivere) è fondamentale. Tu lo fai con i libri che leggi (ci scrivi sopra). C’è una canzone di Ivano Fossati che dice: “Le idee che vanno a morire, senza farti un saluto”. C’è oggi una rivoluzione della scrittura? Innanzitutto non si scrive quasi più a mano su un foglio, le mani non sono collegate alla centrale della creazione del pensiero. Inoltre, la scrittura si riduce sempre di più, in quello che tu hai definito un “alfabeto semplicizzato”. Dove andremo a finire? Realmente non saremo più in grado di leggere libri e giornali? O secondo te ci sarà la possibilità di un nuovo amore per la scrittura come lo è stato trasversalmente da Dante a Manzoni, passando da Leopardi? Una sorta di Rinascimento della scrittura.

Andremo a finire male, già ora alcuni  giovani  credono che “mi piace un botto”, sia un’espressione corretta della nostra lingua. Un ragazzo italiano, oggi, conosce mediamente mille vocaboli in meno di quelli che conosceva un ragazzo italiano negli anni ‘60. Non si può fermare questa slavina. Stiamo vivendo una specie di catastrofe neurologica, soltanto che non lo puoi dire. Io tendo a scrivere,  facilmente ricordo quello che scrivo, soprattutto se lo scrivo in bella grafia. In Corea si scrive prima a penna e poi sul computer. Il valore dell’ideogramma per loro rasenta la sacralità. Essi hanno un rispetto grafico di quello che scrivono e quindi esprimono.

Gli inglesismi che noi utilizziamo sono una follia, un miscuglio senza senso né buon gusto. Siamo l’opposto dei francesi e degli spagnoli, che pur di non pronunciare l’inglese, dicono qualsiasi cosa. Mediamente potremo utilizzare 300 vocaboli della lingua italiana, sostituendo quelli inglesi. Lo scrittore Thomas Mann affermava :” Gli angeli in Paradiso sicuramente parlano italiano”. Infine, per rispondere alla parte finale della tua domanda, ci sarà per forza un movimento, guidato e formato da poche persone, una sorta di  Templari che proteggeranno il mondo da cui veniamo, contro un mondo che consuma in un attimo e brucia una cultura meravigliosa. 

Il Giappone, il tuo rapporto con il Paese del Sol Levante è molto solido e affettivo. Una tua fidanzata era giapponese, o meglio come la definisci, una signora giapponese, che non sopportava le coreane. Il Giappone è la terra delle contraddizioni : da una parte un profondo rispetto per le persone, dall’altra un popolo che si rivela crudele, con una crudeltà quasi disumana, come tu hai più volte definito. Avrai visto sicuramente Lost in Translation, è verosimile la versione cinematografica della pellicola sul modo di vivere giapponese? Ci parli anche delle tue lezioni d’italiano a colpi di 100 yen, solo per sentirti pronunciare una frase nella nostra lingua?

“Sahò”. Questa è la parola con cui i giapponesi esprimono il concetto delle buone maniere,  il rispetto verso gli altri. In un mondo dove non ti esprimi in forma diretta, è molto importante superare questa difficoltà relazionale. Quindi la ritualità è nel gesto e in questo caso è anche nella maniera, una liturgia che surroga e che scavalca il modo di relazionarsi del nostro mondo latino, per entrare in contatto con gli altri. Poi, è vero che molte donne giapponesi, soprattutto di una certa età, sono rapite dall’eufonia dell’italiano, quello che manca alla loro lingua. Quindi pronunciando semplicemente “Marcello Mastroianni”, loro vivono una dolcezza di linguaggio che non usano e non ascoltano.

 

Quando parli dei giocatori di pallacanestro li definisci dei semidei , non solo per la loro fisicità, ma anche per la velocissima connessione tra il pensiero e l’azione ( il famoso no-look). Il mito di Prometeo è realmente vicino a quello che pensi di loro o è soltanto la passione sfegatata che hai per questo sport?

Entrambi.

Ti sei sempre divertito a commentare, hai affermato: “Ho sempre fatto quello che avrei fatto a microfono spento”. Quindi l’uomo felice è colui che celebra se stesso e la sua unicità, in maniera egoisticamente sana? O colui  che, come diceva il figlio di un falegname  duemila anni fa, ama i suoi nemici e prega per i suoi persecutori? La prima mi sembra una specie d’istinto di sopravvivenza gioiosa, la seconda è una rivoluzione dell’essere umano, che si avvicina al divino.

Questi due stati d’animo non possono convivere: un uomo che nega di avere una componente narcisistica, non dice la verità. Proprio ieri  leggevo una recensione sull’ultimo libro di Calasso, dove lui parla dell’Apocalisse e di un agnello che metaforicamente è il Cristo sofferente e deluso perché il suo reale e concreto messaggio non è mai arrivato. Il Protocristianesimo non è riuscito a proteggere l’originale messaggio di Gesù.  Il cristianesimo come lo conosciamo noi oggi è quello di S. Paolo, che avrebbe, per così dire , un po’ travisato il messaggio originale di Gesù.

Ritengo che il discorso della montagna sia  il più rivoluzionario discorso della Storia dell’umanità. La discesa sotto forma umana della divinità  mi ha sempre affascinato ed è presente  in tante religioni.

Ci sarà anche per te un “buen retiro”, dove far scaldare al sole le ossa e i ricordi?

Il Sud della Spagna.

Entonces, querido Federico, te voy a invitar a una copa, en mi Alicante.

Baldassarre Aufiero, maggio 2022 – © Mozzafiato

Foto : Gionata Galloni – Riproduzione riservata

Grazie per gli spazi concessi a Ivano e Maurizio di

Andry Bistrot, Via San Giovanni sul Muro, 13 – Milano.

Ufficio Stampa