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SAN FRANCESCO NON ERA COMUNISTA

«Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio».

(Luca 20, 25-26)

 

San Francesco d’Assisi, il frate “poverello” patrono d’Italia, è probabilmente uno dei Santi più vicini alla figura del Cristo, tuttavia, il francescanesimo ed il pauperismo sono totalmente differenti, anche se in apparenza simili.
San Francesco si spogliò di ogni bene, è vero, ma non pretese mai che altri lo facessero, se non spontaneamente, come del resto lo stesso Gesù aveva insegnato. Il frate ed i suoi seguaci vissero in povertà, ma beneficiando anche delle elemosine di chi aveva mezzi per poter contribuire al loro sostentamento.
Se tutti avessero seguito la loro stessa strada, cioè, se tutti fossero stati poveri, la vita sarebbe stata ben più miserabile sul nostro pianeta: basta guardare il reddito pro capite dei paesi cosiddetti del Terzo Mondo per capire che l’indice di povertà è direttamente proporzionale al grado di sottosviluppo di una nazione.
Se si vuole la guerra alla povertà, si deve evitare di farla anche alla ricchezza, perché in questo modo sarebbe come cercare di estinguere un incendio buttando benzina sul fuoco. Solo dal capitale, tanto odiato, ma certamente, al momento, ancora necessario nel sistema attuale, si può creare lavoro e benessere. Colpire il capitale per ridistribuirlo in modo millesimale alle masse, significa rendere poveri tutti, senza possibilità di riscatto.
Il denaro è “sterco del diavolo” se frutto di illeciti, altrimenti è un mezzo per raggiungere traguardi in ogni campo, almeno fino a quando l’uomo sarà schiavo dei suoi bisogni fisiologici primari, cioè, avrà un corpo da nutrire.
Si cita spesso Robin Hood come paladino della giustizia sociale, dimenticando che il leggendario arciere di Sherwood non rubava ai ricchi per dare ai poveri, perché poi sarebbe stato costretto a togliere ai poveri diventati ricchi per dare ai ricchi diventati poveri, ma sottraeva il denaro allo stato che vessava i cittadini con tasse esose ed inique. Nelle feste e ricevimenti del mondo anglosassone, specie negli Stati Uniti, è usuale sentire persone dichiarare candidamente ed apertamente quanto guadagnano, non per vanagloria, ma con giustificata soddisfazione, e la cosa non suscita invidie o gelosie, perché in quel paese l’ascensore sociale è funzionante e scende e sale rapidamente, per cui , chi guadagna poco in quel momento, pensa semplicemente che se il suo interlocutore ci è riuscito, potrà riuscirci anche lui. Lo Stato, in quei paesi, non è rapace e non ti castiga se sei bravo nel tuo lavoro e se, giustamente, il tuo reddito è alto. Là non si fa il tifo per lo sceriffo di Nottingham, perché si pensa che, un giorno, con sacrificio e determinazione, si può diventare ricchi, ed allora le tasse saranno leggere anche per noi. Fortunato è il paese dove gli abitanti tifano perché i loro concittadini abbiano successo, poiché pensano che la ricchezza non vada punita o mortificata, ma creata e che un giorno potrebbero avere fortuna anche loro. Chi si preoccupa di togliere, più che di favorire l’arricchimento, non ha capito niente.
Certo, sono cento anni che il Comunismo è nato e dopo cento anni di suoi fallimenti ovunque, c’è ancora chi dice che il vero Comunismo non è stato mai messo in pratica e che quindi non si può giudicare.
Se San Francesco vivesse oggi, non sarebbe comunista, e sosterrebbe chi produce ricchezza, cercando di esserne amico per farsi dare una parte dei suoi profitti per opere di misericordia in tutto il mondo. San Francesco non farebbe politica, perché gli affari di Cesare sono di Cesare, e quelli di Dio, restano di Dio.
E non vedrei nemmeno il fraticello, oggi, all’ONU, a tuonare contro i governi della terra per invocare il rispetto dell’ambiente, ma lo vedrei bene, mentre recita il suo Cantico delle Creature sorridendo a tutti. Anche a Trump. Perché siamo tutti fratelli. Nessuno escluso.
P.S. Auguri a tutti i Francesco e Francesca.

Stefano Burbi, Compositore e Direttore d’Orchestra, ottobre 2019 – © Mozzafiato

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