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Hostiles

Sono rare le scene nella storia della cinematografia mondiale dove le emozioni suscitate sono talmente forti da indurre tutti gli spettatori – nessuno escluso – a commuoversi e conseguentemente a piangere.

Una tra le più celebri è quella di “The Passion”, quando la Vergine Maria va incontro a Gesù mentre lui cade per la prima volta trasportando la croce. Questa immagine s’intreccia con il ricordo della Madonna di quando Lei andò a soccorrere Gesù, ancora bambino, mentre cadeva correndo in salita.

In Hostiles esiste un’altra scena della stessa intensità, quando la coprotagonista (interpretata da Rosamund Pike )  inizia a seppellire i propri figli appena trucidati dai Cheyenne, prima con le mani e poi con un badile, rifiutando qualsiasi tipo di aiuto dai soldati. Il suo urlo è da tragedia greca.

Ma al di là di questa meravigliosa scena, il film merita di essere visto.

Molti critici cinematografici hanno trovato in questo western problematica la sceneggiatura e sublime la fotografia del giapponese Masanobu Takayanagi. Queste considerazioni mi trovano d’accordo solo sulla seconda affermazione.

Questo è un western dalla struttura epica che parla con profondità di temi eterni, quali la violenza, il male che è radicato nel cuore dell’uomo, ma anche della libertà di scelta di iniziare una possibile rinascita.  Affronta anche il tema della convivenza tra due popoli diversi, argomento di un’attualità estrema. Una pellicola  importante e coraggiosa, ispirata alla tradizione cinematografica di John Ford e a quella letteraria di Cormac McCarthy. Potente e commovente, Hostiles è il tentativo di ristabilire l’equilibrio tra colpevoli e vittime, mischiandone i ruoli da entrambe le parti.

Il viaggio che compie il capitano Joe Blocker, conducendo fino al Montana il capo Cheyenne Falco Giallo, è un cammino all’interno del cuore selvaggio del grande paese, ma soprattutto della sua anima in cerca della redenzione.

Si, probabilmente da un punto di vista prettamente storico, esistono delle contraddizioni, un uomo bianco con un’autoconsapevolezza dei propri errori è impensabile nel 1892, come pure un “pellerossa” descritto rigidamente selvaggio e saggio.

Ma, alla fine, si esce dalla sala dopo 120 minuti  contenti e toccati emozionalmente da un grande film.

Baldassarre Aufiero, aprile 2018 – © Mozzafiato

 

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