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Esserci al 101%

Stasera c’è la finale dei Mondiali e non ho niente da mettermi. Ma soprattutto, stasera i Mondiali finiscono e con essi tutta la magia incantatora di un torneo che si ripete ogni 4 anni e che per 4 lunghi anni ci lascia vivere la nostra  vita per poi rapirci di nuovo davanti a un teleschermo.

Quattro anni sono tanti. Per tedeschi e argentini corrispondono a una lunga, altalenante fase di allenamento verso la gara più importante della loro carriera, ma per noi? Come cambia la prospettiva e quanta fatica, impegno profuso, gioia, rabbia, insuccessi, piccole glorie ci mettiamo e conquistiamo in un lasso di tempo così duraturo? Mi sono divertita in questi giorni.

Pur non capendo nulla di calcio, è stato un crescente appassionarsi alle partite, ai tiri al limite dell’area, alle vicende personali dei calciatori – non parlo di Balo, parlo di Messi e di che cosa significa per Leo essere lì stasera – ai commenti, alle tattiche di giocco. Penso che a questi livelli, se ben giocato, il calcio sia grande spettacolo. Ogni sera, dopo le 9 ore in studio, tornavo a casa entusiasta per assistere alla mia dose di agonismo brasileiro quotidiano. Vissuto in modo indiretto ma non per questo meno sanguigno. Chissà che passa per la testa, per il cuore, per le gambe di uno sportivo al cospetto di un trofeo così grande…

Entro negli spogliatoi. Nessuna prurigine. Ascolto i discorsi e i sospiri. Di qua, un ragazzo si infila le scarpette e sogna, coi battiti a 3mila. Di là, le gradinate piene di tifosi e un’arena affamata. Non si torna indietro. E subito penso, ma questo picco di emozione lo provano solo i campioni? E frugo nella memoria per vedere se ci sono stati dei momenti così, delle vette di adrenalina pura nell’arco dell’esistenza, che riducano i sei gradi di seprazione fra me e… quello là con la maglia numero 10. Li trovo. Sono ridicoli al cospetto, ma sono una manciata delle volte in cui mi sono sentita la numero 1. O il Brasile di Scolari.

 GLI ALTI

WINBLEDON 1990. Vacanza studio in Inghilterra, un amico di Londra ci dice che possiamo ottenere i biglietti per il torneo di tennis più prestigioso del mondo. Per me che ho visto Becker alzare la coppa dorata nel 1987, è il sogno più grande. Ci mettiamo in fila tutta la notte, accampati per terra dietro un campo dove scorrazzano le volpi. La famosa “queue” di Wimbledon. Un’istituzione. All’alba ne sarà valsa la pena. Entriamo nel tempio del tennis – e chi c’è stato sa che non è un modo di dire. I ticket sono miei. Hanno perfino un smerlo dorato tutto intorno, o è la mia immaginazione data la felicità. La mia amica prende posto al campo numero 1 per vedere il match Stefan Edberg – John McEnroe. Io vado verso un esagono verde. E’ il campo centrale. Ottavi di finale: André Agassi vs Boris Becker. So che è assurdo, ma non ricordo chi ha vinto. Ero talmente presa dagli scambi di pallonetti e volée tra i due idoli della mia adolescenza, a venti metri dal mio naso, che ho rimosso il risultato. Probabilmente Agassi lo ha stracciato. Ma poteva essere vero il contrario. Mi giro a sinistra e vedo i duchi di Kent. Sono a un passo dall’élite. Mai più provata quella sensazione.

GIACOMO RIZZOLATTI 2006. E’ un’intervista. Il neuroscienziato scopritore dei neuroni specchio insegna a Parma, a due passi da me, e sarà al centro di uno spettacolo con il coreografo Jan Fabre. Ragione e arte. Ok, lascio Jan Fabre e mi prendo la ragione. Conosco il dottor Rizzolatti, mancato premio Nobel, e faccio una delle interviste più belle e arricchenti che mi sia capitato di fare. Scopro cose che non sapevo, informo, spiego. Grazie a lui. Un alto, altissimo.

AMERICA’S CUP 2007. L’exploit. Della serie che ci faccio io qua, la massima competizione velica del pianeta si svolge a Valencia così decido di partire per vedere da vicino i bolidi del mare. Mi appassiono, scalpito, faccio il tifo per … Luna Rossa? Mmmmmmh sì, un po’. Perché nel pozzetto c’è uno del mio paese, ma il tifo vero è per Alinghi di Ernesto Bertarelli. Un capolavoro di ingegneria navale che solca l’onda con l’eleganza di una étoile.

Per partecipare al match – race compro un biglietto per una barca a motore che li insegue in alto mare e mi sistemo sulla prua, accanto a un gruppetto di velisti del Lago di Garda. Capiamoci, l’unica estranea a bordo sono io: per motivi sportivi, per ambiente, per denaro. Tutte queste remore spariscono quando Alinghi sale al comando, va in sfida e vince l’Anfora d’argento.

Guardo la regina dei mari e la saluto. Sono vestita con una visiera e una gonna lunga che fa la ruota. Una villeggiante del Settecento nel mar della Spagna.

VANCOUVER 2008. All’altro capo del mondo. E’ uno stato dell’anima che quando arrivo laggiù vivo realmente. La mia Vancouver, ogni anno in cima alla classifica delle città dove la vita è migliore, è una vista mozzafiato sul Pacifico freddo e lunare di una mattina di luglio, con il sole che fa capolino dietro l’orizzonte. Avete presente quando dicono che vivere in un bel posto stimola le endorfine e fa lavorare meglio? Ecco.

Vedo l’Alaska dalla stanza dell’hotel. O la sua proiezione. C’è bisogno di aggiungere altro?

IL BAROLO 2013.

C’è una linea di demarcazione che separa l’essere accesa dall’essere normale (non spenta, suvvia!). Quel giorno di fine agosto questa linea viene oltrepassata da un unico bicchiere di Barolo. Mai assaggiato prima, lo avvicino al naso e il bouquet attraversa i sensi accendendoli. Oh per Bacco, sei tu!

Il sentore di Barolo, il solo ricordarlo, è un sottofondo delle miei giornate di scrittura, il pensiero di qualcosa che non c’è, che tuttavia mi riempie le narici come fosse materia viva.

LUIGI. L’ho messo per ultimo per una pura questione cronologica, in realtà è al primo posto. Un anno e sei mesi, Luigi è il futuro, presentissimo. Bello come una divinità, idolo dell’asilo nido, sveglissimo e forte, è l’aurora che splende nella valle di lacrime. Vado in brodo di giuggiole per lui. Piccolo imperatore. Immenso tesoro.

I BASSI

UNA TELECRONACA CHE NON ARRIVERÀ MAI.

E’ e rimarrà un sogno giornalistico irrealizzabile. Occorrono prontezza di riflessi, profonda conoscenza della storia del calcio e della tecnica. Non ho nessuna di queste doti. Adieu.

UN EQUILIBRIO MAI RAGGIUNTO. Eufemismo in cui annido ogni mio fallimento. Da vera, quasi ex timida, dico che è impossibile superare una volta per tutte quel difetto che o ti impedisce di esprimerti o ti fa esplodere quando non devi.

Ecco raccolti alcuni goal e sonore fischiate – scusatemi se ne ho scritte meno – del mio percorso. Altri se ne aggiungeranno e molti ho dimenticato, ma questi li volevo fissare sulla lavagna.

Ok, sono pronta per la finale. E per i Mondiali che verranno.

Lara Ferrari, luglio 2013 – Mozzafiato Copyright

Foto di Manuela Di Mauro Micoevich

Ufficio Stampa